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Cristina Petrelli
Energie Vitali

Le scale, il passaggio nelle diverse sale, hanno guidato fin qui. L’umidità impregna i muri e l’aria. Negata è la luce del sole. Il senso di oppressione viene alleviato dai piaceri provati durante il percorso, la compagnia, gli odori, i sapori.
Il vincolo dell’obbligo è svanito. Percepiamo diversamente ciò che abbiamo intorno. L’alterazione provoca un rapporto diretto con le cose, dissolve la nebbia delle regole e dei condizionamenti. Chiaro si avverte il legame con quell’energia naturale che permea ogni essere vivente.
Senza filtri, il rapporto vita-morte, che è alla base della ciclicità dell’esistenza, appare autentico. Un uscire dagli schemi che non si trasforma in folle violenza, ma diventa tramite per acquisire una piena consapevolezza di sé. Progressivo smascheramento che trascina all’interno delle forze che dominano la vita stessa.
In questo processo sentiamo la prossimità con quella profonda analisi delle dinamiche esistenziali che il pensiero di Friedrich Nietzsche rappresenta. I concetti di «dionisiaco» e «apollineo», introdotti dal filosofo tedesco alla fine del XIX secolo, conducono verso una contrapposizione di elementi. Lo « spirito dionisiaco» è la parte istintiva e irrazionale dell’individuo e dell’esistenza. Un modo di vivere libero e caotico, che trova piena espressione nello stato di ebbrezza e nella figura mitologica di Dioniso. Il «dionisiaco» coincide con l’energia delle passioni, della sensualità, del desiderio e della creatività. Un sentire che diventa metafora stessa dell’esistenza in quell’essere puro slancio vitale, che porta ad abbandonarsi alla vita completamente, accettandone contraddizioni e insensatezze. Lo «spirito apollineo», in aperta opposizione al «dionisiaco», è razionale e astratto. Le costruzioni mentali che consentono all’uomo di dare un senso alla realtà derivano dall’«apollineo». Si tratta, dunque, di quella componente razionale che conduce a negare l’insensatezza propria della vita, il caos e il dinamismo che dominano l’esistenza. Una ricerca di ordine ed equilibrio che trova il proprio simbolo in Apollo e si esprime tramite forme armoniose, simmetriche e rassicuranti.
L’antitesi alla base del pensiero nietzscheano, diventa spunto per Conscientia Tremens, l’intervento di Domenico Buzzetti e David Starr. Alle pareti un’immagine bianca e una nera. Il taglio compositivo nega l’identità delle figure, privandole del volto, e le trasforma in elementi dalla forte valenza simbolica. Nel candore assoluto del bianco, appare una giovane figura femminile a torso nudo. Nitido nella luce, il suo corpo sensuale e attraente rappresenta il desiderio. L’essere donna sottolinea quel dominio dei sensi sulla ragione, parte istintiva e irrazionale dell’esistenza, che costituisce la vita stessa. L’energia naturale s’incarna in lei e trova, nello straordinario atto del concepimento, l’espressione più pura dello «spirito dionisiaco». Attraverso un delicato tratto a carboncino, Buzzetti accenna una serie di piccole immagini sullo sfondo. La figura in primo piano, in questo modo, viene ad essere accostata ai capolavori dell’arte di tutti i tempi. Un unione che è omaggio al creare, nel senso più ampio del termine, per la sua dirompente forza.
Posta di spalle, rispetto alla figura femminile, si trova un’oscura presenza maschile. Un’opposizione che si assottiglia fino a farsi legame, impercettibile quanto inscindibile, fra luce e buio, irreale e reale, libertà e costrizione. Prossimità dichiarata anche tramite le modalità espressive scelte dagli artisti, che lasciano convivere il linguaggio visivo al sonoro.
I quadrati dello sfondo formano delle croci nell’immagine scura, dove si trova in primo piano una figura in severo abito nero che stringe nella mano un crocifisso. Nel riferirsi al Cristianesimo, la riflessione si sofferma sulla religione in quanto categoria necessaria per razionalizzare l’esistenza. Un’esigenza attribuita da Nietzsche allo «spirito apollineo» che ha consentito all’uomo di generare dei modelli metafisici che dessero un senso alla vita. Il bene, il male, l’etica, non sono altro che costruzioni mentali che disciplinano, regolano e schematizzano la realtà. Criteri razionali che permettono di comprendere e giustificare l’esistenza, ma che non sono altro che illusioni.
Esclusivamente per affrontare insensatezza, irrazionalità, ciclicità e riuscire a superare la paura suscitata dall’inesorabile alternarsi di vita-morte, l’uomo ha prodotto strutture collettive, identificabili con i fondamentali valori della società (scienza, democrazia, religione), che si rivelano essere null’altro che mera finzione. All’interno di tali dinamiche si inserisce il Cristianesimo che trasforma l’uomo in un essere tormentato e represso, privato della libertà fisica e mentale. Il peccato e il senso di colpa sono elementi centrali del pensiero cristiano. Concetti che finiscono per condannare l’individuo a un’esistenza vissuta come percorso di espiazione sin dalla nascita, che trova il suo unico conforto nell’immagine di un’«aldilà» felice, un «oltre» intangibile e inafferrabile.
Un’interiorità sofferente, spaventata e tremante, a cui si riferisce la Conscientia Tremens del titolo, simbolo di una vita non vissuta a pieno, condotta rinnegando i principi stessi sui quali si fonda.
Un sentire che si fa più intenso quando al portato semantico delle immagini esposte si unisce il sonoro dell’installazione di David Starr. La lotta tra il bene e il male, il peccato, sono parole appena udibili. Le campane lontane si accostano e sovrappongono alle note di un organo e all’eco delle voci nella navata di una chiesa. Suggestioni che arrivano intatte, rimandando direttamente a un contesto specifico. Suoni di richiamo e monito, che si dissolvono in una composizione lineare basata su una vibrazione monotona e insistente, percorsa da leggere variazioni.
Un tema che sfiora la soglia dell’ossessione e del delirio in quell’anteporre suoni «vincolati a un senso» ad altri «liberi». Predomina ora la parte più irrazionale, sensoriale e istintiva del corpo, risvegliata anche dalla natura stessa del medium usato. Nel suo essere immateriale, libera da ogni vincolo e costrizione, la musica rappresenta la manifestazione più compiuta del «dionisiaco». Suoni di flauti e tamburi accompagnavano il culto in onore di Dioniso in quelle che erano le sue fasi più importanti. Il corteo di menadi e satiri danzava e cantava, ebbro di vino, al ritmo della musica. Lo scopo del rito dionisiaco era quello di raggiungere uno speciale stato di possessione che culminava nella caccia e nell’uccisione a mani nude di un animale selvatico. Un rito sacrificale propiziatorio che arrivava a compiersi proprio attraverso le suggestioni del «ditirambo», che consisteva in una danza ritmica scandita da una musica ossessiva. Tale pratica, pure nell’improvvisazione, induceva a un moto di accentuazione delle emozioni. Una caratteristica che pone il «ditirambo» all’origine del teatro e, in modo specifico, della tragedia greca.
Aristotele, nella Poetica, racconta come lentamente questo canto diretto all’ara sacrificale ed intonato disponendosi in cerchio attorno ad essa sia diventato teatro.
Si rintraccia, inoltre, una consonanza etimologica tra la parola «tragedia» e il «capro» (tragos in greco), l’animale oggetto del rito dionisiaco.
Il rapporto tra Dioniso e i Satiri si ritrova trasfigurato in quello tra attore e coro. Nel teatro tragico greco, il compimento del dramma avviene mediante due azioni fondamentali, la «mimesi» e la «catarsi». Nello svolgersi della narrazione, inizialmente, lo spettatore si immedesima nel protagonista, comprendendo i motivi che lo spingono a compiere azioni disperate, per arrivare nel finale a condividerne la condanna. Un doppio moto, di pietà e terrore, che porta l’animo verso la purificazione. Un processo che consente allo spettatore di staccarsi dalle passioni vissute sulla scena per acquisire un livello superiore di consapevolezza. L’enfatizzazione degli stati d’animo attua la «catarsi» finale, dove il dramma rappresentato si unisce alla vita. Sollecitazione dei sensi che risveglia l’area più irrazionale di noi stessi e conduce oltre, fino ad affondare nella parte più oscura dell’esistenza, in cui si percepisce tutta la forza delle energie primordiali.


testo critico di “Ruber rubra rubrum... E’ come dire abracadabra” doppia personale di Domenico Buzzetti e David Starr
 



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